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E’ un impresa raccontare la storia di Messina senza dilungarsi ed inserire dettagli importanti, perché troppi sono gli avvenimenti che la riguardano.

 

Il mare, come un azzurro fiume, divide Messina dal continente, ed è passaggio priviligeto tra l’Adriatico e il Mediterraneo. Messina sorge ad anfiteatro, con sulla destra i un braccio di terra a forma di falce che si estense sul mare, alle spalle una catena di colline, fra le quali le più alte sono l’Oliveto, la Guelfonia, la Caperrina, il Tirone, Dinnamare. Bellissima. Le sue coordinate geografiche sono 38° 17’ di latitudine e 33° 33’ di longitudine, Che rendono la città un’oasi climatica. La città fu sempre munita di mura e fortificazioni: le ultime cinte vennero innalzate dal viceré Gonzaga; Oggi di esse non rimangono che poche vestigia…

 

Nella mitologia greca Messina assumeva un significato primario, fondamentale … Urano, dio primigenio, che rappresentava il cielo stellato, in unione con Gea, la Terra, diede alla luce i sei Titani, le sei Titànidi, i tre Ciclopi e i tre Ecatonchìri.

 

Esseri primitivi che il padre Urano rinchiuse nel Tartaro. Urano nutriva paura nei loro confronti perchè questi rappresentavano lo sprigionarsi delle forze naturali come le Tempeste, i Lampi, i Fulmini ed anche perché temeva che lo spodessastassero. Gea indusse i propri figli a ribellarsi alle volontà del padre. Krono, assalì nel sonno il padre, lo ferì gravemente con una falce datagli dalla madre e liberò i fratelli. Dal sangue di Urano caduto sulla Terra nacquero le Erinni, i Giganti e le Ninfe dei frassini. In quanto alla falce essa cadde sulle rive del braccio di mare che divideva la Sicilia dal continente, ancorandosi con la terra, e formando una bellissima città che per questo fu chiamata Zancle (falce, appunto).

 

La mitologia racconto questo ma la Storia riserva anni di gloria ed onore a questa città. Messina era in tempi antichissimi chiamata Zancle , forse anche in omaggio ad uno dei capi dei suoi primi abitatori detto Zanclo, o forse, come sopra raccontato, dalla parola “zanclon” che significa falce dalla forma del suo porto naturale.

 

La città, si racconta, fu fondata nel 2148 a.C. ben 1375 anni prima di Roma, forse ancor prima.
In una vecchia pianta della città si leggeva:

 

“Antica e Massima città di Zancle, edificata da Zanclo nell’anno del mondo dopo il diluvio 268 ed avanti l’incarnazione 2421, Capo e signora di tutte le nobili città della Sicilia e Massima Repubblica.”.
Fu rifondata dai greci intorno al 757, a.C. dai calcidiesi Cratemene e Periere.
Cinque secoli prima della venuta di Cristo i Samii giunsero a Zancle dove furono accolti come amici. Ma ben presto essi si dichiararono signori e padroni della città. Poco dopo Anassila, signore di Reggio, invitò i Messeni, popolazione di origine greca a stabilirsi sulla costa calabra, per sconfiggere i Sami. Da poco questi erano stati sconfitti dagli spartani accettarono l’invito. Essendo poi Anassila venuto in conflitto con i zanclei, fu aiutato dai messeni nella lotta contro gli abitanti dell’altra riva dello Stretto. I messeni smantellarono le fortezze e le mura della città fortificata e vi penetrarono. Anassila diede ordine di mettere a ferro e fuoco la città, ma i capi messeni: Gorgo e Manticlo non eseguirono gli ordini, perché si riconobbero in quel popolo che con la tenacia e l’amore verso la propria terra resistevano tenacemente e così si accordarono coi zanclei per vivere insieme pacificamente e formare un sol popolo.

 

Dopo questo episodio il nome della città fu mutato in quello di Messana. I messinesi ebbero un libero governo.

 

I messinesi tenevano in grande considerazione la cura del corpo e della cultura dei loro giovani. Due giovani messeni parteciparono e vinsero nei giochi olimpici che si celebravano in Grecia:, Leontisco vinse nella lotta e ad esso fu eretta una statua nella città di Olimpia. Simmaco vinse nella corsa. Un popolo fiero, che nel 395 a.C. combattè  i Cartaginesi, ma questa battaglia costò la perdita di ben 20 mila cittadini che affrontarono a viso aperto il nemico.

Nel 348 a.C. la città, con l’aiuto dei Corinti poté riconquistare la perduta libertà. Nel 300 a.C. un forte gruppo di giovani bramosi di avventure lasciarono l’Abruzzo e vennero in Sicilia. Il loro nome era “Mamertini”, perché votati a Marte, dio della guerra. Essi conquistarono il predomino della città.

 

Venuti in conflitto sia con Gerone di Siracusa che con i Cartaginesi, i mamertini chiamarono in aiuto i romani, e nel 261 a.C. il console Appio Claudio riuscì a sconfiggere prima Gerone e poi i Cartaginesi. Per ricordare questo episodio fu costruita una strada e in onore del console fu chiamata Via Consolare Valeria, essa arrivava fino a Capo Lilibeo; Alla città vennero concessi molti privilegi dopo la vittoria.Essendo Messina città di transito obbligata nel Mediterraneo, si racconta che anche l’apostolo Paolo venne e sbarcò a sei miglia di distanza dalla Città in quel punto della costa detto da allora in poi Cala S. Paolo. Grazie a lui i messinesi si convertirono al cristianesimo.

 

Nell’anno 41 d.C.  mandarono a Lei un’ambasceria insieme alla stesso S. Paolo sulla medesima nave. Giunti gli ambasciatori in Gerusalemme, ebbero in risposta dalla Madre di Gesù la seguente lettera scritta in ebraico:

 

Maria Vergine, figlia di Gioacchino, umilissima serva di Dio, Madre di Gesù Cristo Crocifisso, della Tribù di Giuda, della stirpe di Davide, ai Messinesi tutti salute e benedizione di Dio Padre Onnipotente. Consta per pubblico strumento che voi ci avete mandato legati e nunzi, e che già per le prediche di Paolo Apostolo vi è nota la via della Verità, e che il figlio nostro, generato da Dio, si è fatto uomo, e dopo la sua resurrezione è salito al cielo. E perciò Benediciamo Voi e la Stessa Città, della quale vogliamo essere perpetua protettrice.

La lettera era legata con alcuni capelli della Vergine, che da allora in poi vennero custoditi nella Cattedrale. Maria fu sempre venerata in Messina sotto il nome di Madonna della Lettera. L’originale della Sacra Lettera fu accuratamente nascosta dal Senato messinesi che poi fu ritrovata nell’archivio pubblico ma subito dopo se ne persero le tracce con i disastrosi terremoti che colpirono la città. Queste notizie  sono narrate anche dallo storico Flavio Lucio Destro.

 

Nel periodo Medievale l'impero Romano era formato da tante province che si autogestivano perché troppo lontane dalla capitale, ma tutte erano unite nel nome di Roma. Proprio nel 395 d.C. sotto il regno di Arcadio, avvenne che i Bulgari si ribellarono a Costantinopoli (allora capitale dell'Impero). Arcadio tremendamente spaventato ed allarmato chiese aiuto a tutte le altre province romane. I Messinesi, capitanati dal generale Metrodoro, prepararono una  flotta di 13 navi. Giunti a Tessalonica (Salonicco), iniziarono il combattimento contro i Bulgari e ne uscirono vincitori.

 
Arcadio, grato ai messinesi, le concesse grandi privilegi ai coraggiosi uomini che sventaro la minaccia:
L’imperatore consegnò a Metrodoro il vessillo imperiale che aveva per insegna una Croce d'oro su campo rosso.
Il Generale Metrodoro, tornato a Messina, sostituì il vecchio stemma della Torre su campo verde con la nuova effige. Così ancora oggi questo simbolo ci contraddistingue...

Ancora battaglie a Messina che nel 651 dovette subire un nuovo attacco saraceno, ma un'altra volta grazie a Messina furono scacciati dalla Sicilia.  Nel 669 però vi fu un'ennesima incursione ma stavolta i saraceni saccheggiarono di nuovo il monastero uccidendo l'Abate. Nel 682 venne assunto al pontificato un cardinale messinese che prese il nome di “Leone II”. A questo papa, che morì dopo appena un anno la città di Messina dedicò nel 1623 una delle 18 porte dell’antica palizzata la quale  fu detta porta leonina, oggi a lui è intitolato il IX quartiere, quello appunto di S. Leone.

Nel 827 la Sicilia cadde sotto il dominio degli arabi esclusi i territori di Messina, Taormina e Siracusa.  Essi vennero domati fuori le mura della città, tenuti a distanza. Messina cadde solo nel 976 dopo 300 anni di eroica e gloriosa resistenza. Resta schiava per 80 anni subendo  umiliazioni, stragi e epiche ed eroiche gesta come quella suprema compiuta dalla Compagnia dei Verdi in una estenuante ma vittoriosa battaglia in pieno centro cittadino, alla Darsena, in difesa del SS. Sacramento. In quel periodo era vietata qualsiasi pratica cristiana e, dopo questi episodi, nascono le leggende di Mata e Grifone, parola che unita tradotta dal latino significa uccidi i musulmani.

Tre messinesi, in un giorno del 1060, Ansaldo Patti, Jacopino Saccano e Cola Camuglia, passeggiavano solitari nel piano di S.Giacinto, oggi S.Raineri. Essi discorrevano delle sventure di Messina dominata dagli arabi.  Ad un certo punto Cola Camuglia disse loro.....”Amici, il nostro dolore a nulla giova, ed è cosa indegna d'uomini generosi il deplorare le proprie sciagure senza cercare di mettervi riparo.”  O se un riparo ci fosse!.. esclamarono gli altri. “Eppure c'è, questi ladroni di saraceni debbono la loro fortuna più alla nostra pocaggine che al loro valore. Ma orsù il momento di scuoterci da questo letargo è giunto. Un aiuto sicuro a questa impresa lo troveremo nei normanni, popolo generoso e forte che si trova lì in Calabria, a poche miglia da noi. Invochiamolo, chiamiamo poi alla riscossa i cittadini e vi assicuro che in poco tempo in Messina e tutta l'isola non rimarrà un solo saraceno”.
Il giorno dopo, fingendo di essere chiamati per affari nella vicina Mileto, vi si recarono separatamente. E giunti al cospetto del Conte Ruggero, lo di venire in aiuto dei cristiani. Egli accettò.
Allora Jacopino Saccano diede al Conte un Crocifisso e questi ricevendolo promise che con tutte le sue forze li avrebbe liberati dai maomettani. Tornati a Messina informarono i cittadini della risposta. Perché in quel giorno non fosse fatta confusione venne messa una croce nellle case dei cristiani.

Il Conte Ruggero l'anno seguente partì da Reggio con 26 galere approdendo sulla spiaggia di Maregrosso. All'estremità del braccio di S.Raineri lì il Conte vide impiccati 12 cittadini e provò tanto dispiacere che giurò di innalzare un tempio al Salvatore del Mondo, se il cielo gli avesse dato la forza di liberare la città dai musulmani. I cittadini aprivano le porte della città ai Normanni e prese le armi  per tutta la notte fecero strage dei saraceni. Così i musulmani furono sconfitti e cacciati dalla città. Il 12 agosto del 1086 Ruggero entrò in città  accolto con ossequio e affetto. Poi memore del voto fatto, edificò un tempio all'estremità del braccio di S.Raineri. In suo onore venne costruita un machina votiva che è la Vara.
Nel 1129 il Conte Ruggero II veniva incoronato a Palermo Re di Sicilia
Ruggero II  consacrò il primo tempio cittadino, il Duomo,  a nome di S. Maria la Nuova. Ruggero II muore a Messina nella notte del 27 settembre 1198.
La storia racconta: E’ il 1189  la Terza Crociata viene bandita da Gregorio VIII. La motivazione era la caduta di Gerusalemme per opera di Saladino.

Nello stesso 1194, nasceva Federico II,  figlio di Federico Barbarossa, sacro romano imperatore, ma con il sangue materno di una normanna, Costanza d'Altavilla, la figlia del grande Ruggero II.

 

Il grande Federico II fece poi ritornare il "sole" in Sicilia. Il periodo più "luminoso" dell'Isola.
Il dominio della Sicilia appartenne per lungo tempo ai Normanni e da costoro passò poi alla casa di Svevia perché Costanza, unica erede, aveva sposato l’imperatore Federico di Svevia detto Barbarossa. Con il figlio Federico II e la "Scuola poetica siciliana" specialmente  Messina e poi tutta la Sicilia  toccarono cime ineffabili  di splendore.

Al contrario dei Normanni, gli Angioini furono prepotenti, oltraggiatori, rapaci e despoti, tanto che la loro cacciata si risolse con la rivolta di Pasqua del 1282 ricordata come i “Vespri Siciliani”. I francesi che riuscirono a fuggire all’eccidio di Palermo si rifugiarono a Messina, ma il popolo messinese il 28 aprile 1282 insorse e la rivoluzione fu realizzata al grido di << morte ai francesi. Morte a chi li vuole.

Il 25 luglio 1282 Carlo d’Angiò sbarcò a Messina con tutto il suo esercito di ben 70.000 uomini, tra cui Francesi e Guelfi di tutte le città. Cominciò l’assedio che durò fino al 26 settembre, tra i più memorabili poiché dimostrò il coraggio dei messinesi.

Fra le tante scaramucce e combattimenti il più importante fu quello dell’ 8 agosto nel quale i francesi cercavano di aprirsi un varco nel colle della Caperrina (Montalto), ma furono fermati in tempo grazie al coraggio e alle strategie del Generale Alaimo da Lentini. Durante la notte però i francesi tornarono all’assalto, ma furono scoperti da una pattuglia di donne fra le quali Dina e Clarenza, queste prima destarono tutti suonando fragorosamente le campane, poi incitarono le compagne a rotolare sassi sui nemici. Svegliati i combattenti e accorsi tutti alle armi, i francesi furono respinti. Per questo fatto la torre della Caperrina fu detta da quel giorno in poi Torre Vittoria.

 

 

Questa pagina fu tra le più memorabili perché i soli messinesi sconfissero un esercito ben armato e agguerrito, e tra le più importanti perché dimostrò l’ideale patriottico dei peloritani che pur di aiutare la sorella Palermo non accondiscesero ai privilegi che i Francesi le volevano concedere. Famosa la celebre frase del valoroso  Baldovino Mussone: “Dite al Vicario che Messina non ha altri interessi da salvaguardare che quelli di tutta la Sicilia, e che essa tra la supremazia straniera e l’accordo con le altre città sorelle non ha esitato giammai. E perciò  né speranze, né timori, potrebbero mai farle mutare la sua condotta.”
Alla fine dei combattimenti dei Vespri, Messina rimase  sola ed i Francesi presero di mira le sue mura. Nasce anche una Poesia popolare che dimostra il grandissimo valore dell donne messinesi che aiutavano i propri mariti nella lotta contro il nemico oppressore:  Dhe! Com'egli gran pietate. Delle donne di Messina veggendole scarmigliate tirare pietre e calcina. Iddio gli dea Briga chi Messina vuol guastare.

Da questi episodi nacque la leggenda della Dama Bianca:
I francesi vedevano aggirare sulle mura una donna tutta vestita di Bianco risplendente di luce misteriosa. Essi affermavano che quella Dama durante la battaglia ricopriva con un gran velo le mura e questi atterriti non potevano sostenere la sua presenza e trafitti da strali letali cadevano colpiti a morte. I messinesi in questa donna riconobbero la presenza della Madonna che ancora una volta li proteggeva, come dimenticare la solenne frase che sempre ha accompagnato i messinesi durante le prove più dure: Guerre, Carestie, fame e terremoti:“Oh della lettera Madre Regina Salva Messina, Salva Messina”.

La guerra tra i Siciliani e gli Angioini durò fino al 31 agosto 1302, epoca in cui fu sottoscritta la pace tra Federico d’Aragona e Carlo II d’Angiò, con la quale veniva restituita la libertà alla Sicilia sotto il governo spagnolo.

 

Nel 1400 a Messina governa l’arte con il grande Antonello che introdusse per primo in Italia la pittura ad olio che importò dai fiamminghi, ed anche la prospettiva. Si pensa che suo studio era in prossimità del Monastero di Montevergine di Santa Eustochia che, si dice,egli conobbe personalmente. Si pensa che la sua tomba si trovi tra le rovine della chiesa di Santa Maria del Gesù Superiore, confinante con il torrente Giostra, dove sono stati rinvenuti i ruderi di una antica abbazia.

Dal porto di Messina, sotto il comando di Don Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V, partì l’armata cristiana, formata dalle navi di Spagna, Napoli, Sicilia, Venezia, Genova, Malta e da quelle del Papa, la mattina del 7 ottobre 1571 affrontò la flotta turca nelle acque di Lepanto, presso le isole Curzolari,  in un memorabile combattimento che finì con la disfatta dei turchi.

A questa grande vittoria navale resta collegato il nome della città di Messina, non solo per avere ospitato nel porto prima e dopo la battaglia la flotta cristiana, ma per la parte avuta, in quello storico scontro, dai suoi cittadini. Fra tutti si ricorda Vincenzo Marullo, che vi partecipò con due galere armate, Pietro Marquett, che ebbe sotto i suoi ordini 18 galeotte. Si ricordano ancora i nomi di Giangiacomo e Pietro Gallo, Francesco Zappata.

 

Tornato in Messina Don Giovanni d’Austria fu accolto da trionfatore ed il Senato ordinò che in suo onore fosse eretta un porta che ricordasse quel luogo da cui era entrato in città, e che fu detta perciò Portareale. Allo scultore Calamech fu commessa una statua in bronzo del principe. In un primo tempo la statua trovò collocazione davanti a Palazzo Reale e diede per questo il nome di Via Austria a quella che adesso si riconosce con il toponimo di Via I° Settembre. La statua di Don Giovanni fu prima trasferita in Piazza Annunziata, poi in Via Lepanto, dove è ancora oggi. Alla base della statua dei bassorilievi in bronzo uno dei quali raffigura la pianta di Messina alla fine del XVI secolo.

Il 2 settembre 1595, essendo re di Spagna Filippo II, si sparse la notizia in Messina che una flotta turca aveva assaltato le coste calabre e si accingeva a passare lo Stretto. I messinesi allora presero le armi e accorsero a difesa della città.

 

Vista la pronta risposta, dopo aver saccheggiato il litorale calabro, fecero ritorno a Costantinopoli. In questa occasione lo Stradigò principe di Geraci propose di costituire una congregazione permanente di cavalieri. Questa associazione venne istituita poco dopo sotto il nome di Cavalieri della Stella. Questi cavalieri portavano sul petto una stella d’oro smaltata.
La congregazione cessò di esistere con gli avvenimenti del 1678, guerra contro la Spagna.

Nell’Ottobre del 1595 Carlo V nella seconda metà del  mese di ottobre viaggiava verso  Messina quando fu colto da un  temporale. Egli trovò rifugio nel convento di S. Placido Calonerò retto dai monaci di S. Benedetto. La mattina successiva l’imperatore mosse verso la città di Messina e vi entrò attraverso il borgo Zaera. Fu accolto dalle alte cariche civili e religiose, fra le quali l’Arcivescovo Antonio di Legname.

Nel popolo e nella nobiltà covavano antichi rancori verso la Spagna. Nel 1674, durante la celebrazione della festività della Madonna della Lettera, comparvero esposti nella bottega di un sarto certe figure ed emblemi colorati ritenuti offensivi per i Merli. La notizia si diffuse così rapidamente e il fatto fece così tanto clamore che la bottega del sarto fu assalita e ci furono molti scontri. Tra Merli e Malvizzi si scatenò una terribile battaglia. Ma chi erano questi Merli e chi erano questi Malvizzi cerchiamo di fare chiarezza e di capire cosa accadde...

Messina batteva Moneta ed era la città più importante siciliana, molti la temevano sia per gli innumerevoli privilegi millenari di cui godeva la nostra città, sia per il valore civico e guerriero dei suoi cittadini. I benefici di cui si valeva la città erano talmente numerosi che suscitavano e scatenavano   invidie da parte non solo delle altre nazioni, ma anche da parte delle altre città siciliane. Ma Messina, donna regale e bellissima, sempre distrutta da eventi naturali e dalla malvagità umana, è sempre riuscita a risorgere più bella e più forte di prima diffondendo invida.

Il Generale dell’Hojo nel 1671 iniziò una campagna deleteria per creare fazioni e divisioni in città tra i suoi cittadini. Cominciò allora a blandire  la plebe ed ad assecondare i nobili infondendo il tarlo del sospetto contro  il popolo. Tempi di miseria e carestia e gli fù molto facile dar ad intendere al popolo che quelle  calamità erano dovute alla superbia dei nobili, i quali facevano patire ai poveri la fame, mentre ai ricchi suggeriva che il popolo meditava una sommossa contro di loro. Le cattive intenzioni  dell’Hojo raggiunsero il loro effetto, poiché il popolo si armò e assalì la case dei Senatori mettendole a sacco e fuoco. Nacquero tumulti quotidiani, nei quali furono incendiati ben 18 palazzi. La città era in preda ad una terribile guerra civile.

Messina per la prima volta si divise in due fazioni i Merli ed i Malvizzi. I primi volevano tenere inalterati i grandiosi privilegi che la città aveva acquisito nel tempo e mantenere la classe Senatoria,  i secondi caldeggiavano un governo fatto dal popolo.

Giunta la notizia della rivolta a Palermo, il viceré Ligny, partì alla volta di Messina con un buon numero di soldati, portò frumento, cacciò l’Hojo e mise  un po’ di pace tra i contendenti. I messinesi risoluti a rompere definitivamente con la Spagna, decisero di chiedere la protezione del Re di Francia. Questi accettò la proposta e nel 1675 mandò a Messina il duca di Vivonne. La Spagna però intendeva ridurre alla ragione e sotto il proprio dominio la città, con ogni mezzo. E quando, con un gesto eclatante i cittadini messinesi abbatterono le odiate insegne e i ritratti del re di Spagna, per sostituirvi quelli della Francia, dapprima gli spagnoli assalirono la città cingendola d’assedio.

Nel febbraio del 1675 finalmente in aiuto alla città arrivò la flotta francese del duca di Vivonne. Ne nacque una terribile battaglia presso le isole Eolie, che finì con la disfatta degli spagnoli. Vivonne trionfante entrò con le sue galere nel porto di Messina, dove fu ricevuto con grandi onori. Il Senato messinese giurò, in nome della città, fedeltà al Re di Francia. Dopo questo episodio la lotta tra Messina aiutata dai francesi e la Spagna, durò per lungo tempo senza esclusione di colpi sia per mare che per terra fino al 1678. Infatti in quell’anno, all’insaputa di Messina, i Re di Francia e di Spagna firmarono un trattato di Pace.

Le truppe francesi si ritirarono sotto gli ordini del marchese di Lafeuillade. Il tradimento fu terribile e dagli effetti devastanti. Messina da sola non poteva reggere l’urto delle forze spagnole e sulla città si abbatté la vendetta e l’odio delle truppe aragonesi. Ogni privilegio fu perduto, il Senato abolito, la Zecca fu trasferita a Palermo, il Palazzo del senato fu distrutto, fu abolita l’Università, fu spogliato l’archivio e trasferito a Palermo, nella zona falcata fu costruita la Cittadella e gli spagnoli infierirono con persecuzioni e con condanne a morte contro i cittadini.

La città divenne facile terra di conquista per gli spagnoli. A completare tutto si mise anche il Re Carlo II che fece radere al suolo il grandioso senato messinese.

Molti rivoltosi, soprattutto quelli appartenenti ai ceti sociali più umili, furono giustiziati, molte famiglie nobili invece presero la via del volontario esilio per sfuggire alle persecuzioni.

Soltanto nel 1702, con l’editto di Filippo V in data 13 maggio, i fuggiaschi poterono rientrare dall’esilio e furono reintegrati   nelle loro facoltà e nei loro beni. Fecero così ritorno a Messina le famiglie, Alibrandi, Avarna, Balsamo, Bavastrelli, Brigandì, Calabrò, Celi, Cicala, Crisafi, Coppolino, De Gregorio, Faraone, Fenga, Furnari, Galletta, Goto, Grasso, Greco, Laganà, Lazzaro, Majorana, Marchese, Marullo, Mazzeo,  Mazzisi, Moleti, Mirone, Patti, Pellegrino, Porzio, Pozzinga, Reitano, Romeo, Saccano, Sergi, Sollima, Spadafora, Stagno, Trovato, Viperano, Zahami, Zuccarato, Zuccari, la marchesa di S. Teodoro, la marchesa di Gallodoro, e moltissime famiglie di popolani. 

 
 
 
 

Molti personaggi insigni furono costretti a lasciare la città natia, e si fecero apprezzare nei luoghi dove trovarono rifugio. Ricordiamo Alberto Tuccari, poeta e soldato valorosissimo, il quale sotto le insegne di Venezia si distinse nella battaglia del Peleponneso. Antonio Crisafi, nominato marchese dai francesi, al quale fu affidato il supremo comando delle forze in Canada. Antonio Moleti, poeta e oratore che a Roma fu accolto nell’Accademia del Cardinale Ottoboni. Agostino Scilla, pittore e scrittore. Diego Zirilli, che divenne professore di Medicina all’Università di Firenze. Domenico Quartarone, che fu professore di Matematica nell’Università di Roma. Villamici, che fu ingegnere nell’Arsenale di Marsiglia. Andrea Marchese, dotto nella nautica e nelle arti della guerra che fu socio all’Accademia delle Scienze di Parigi ed ufficiale nei gradi più elevati della flotta francese. Cesare Marchese, che in Francia ebbe il comando di un reggimento di cavalleria e morì da prode con il figlio Giuseppe e il nipote Salvatore nella guerra delle Fiandre..

 

Nel 1713 la Sicilia in seguito al trattato di Utrecht fu assegnata a Vittorio Amedeo duca di Savoia che assunse il titolo di Re di Sicilia. Egli sotto questa veste si recò a Palermo dove ordinò il censimento della popolazione che risultò essere di 1.123.163 cittadini per l’intera isola e di 40.393 anime per la città di Messina esclusi gli ecclesiastici e i villaggi. Vittorio Amedeo risollevò il commercio della città, ripristinò l’antica istituzione del Senato e ripartì alla volta del Piemonte nell’agosto del 1714 lasciando a governatore di Messina il conte Vianisi.

 
 

Nel 1718 gli spagnoli con un colpo di mano rioccuparono la Sicilia e Messina cadde ancora una volta sotto il potere aragonese. Fortunatamente quasi subito scoppiò la guerra tra la Spagna e l’Austria e quest’ultima occupò la Sicilia. Il 9 agosto 1719 gli Austriaci entrarono in Messina senza alcuna opposizione. Il Senato e i cittadini erano ormai scettici verso tutti gli invasori dopo l’esperienza del 1678, tuttavia la cacciata degli spagnoli fu accolta con gioia. Lo scetticismo dei messinesi era giusto poiché gli austriaci non si dimostrarono diversi dagli spagnoli: entrambi oppressori. Tutti i privilegi concessi da Vittorio Amedeo furono dichiarati nulli.

Anche questa dominazione fu breve in quanto nell’agosto dell’anno 1734 Carlo Borbone, duca di Parma, mandò in Sicilia un forte esercito che quasi senza combattere cacciò gli austriaci e si fece proclamare Re con il nome di Carlo III. Da lui comincia l’ultimo e più nefasto periodo della servitù di Messina sotto lo straniero prima dell’unificazione d’Italia.

 

Durante questo periodo Messina fu colpita da una delle più disastrose calamità naturali: la Peste del 1743. Il 20 marzo di quell’anno entrava nel porto un veliero genovese al comando di Iacopo Bozzo, il quale dichiarò di essere proveniente da Missolungi. Dichiarava inoltre che durante la traversata era morto a bordo, di morte naturale, uno dei suoi uomini e perciò la nave fu messa in quarantena. Poco dopo si ammalò e morì un altro marinaio solo allora si scoprì che la causa di quei decessi era dovuta alla peste bubbonica.

Ben presto l’epidemia si estese all’intera città. Sopra una popolazione di 62.775 unità i morti furono 51.259, gli scampati furono 11.496 cioè più dell’80%. Dei villaggi rimase immune solo Altolia a qualche paese vicino, negli altri i morti furono 10.659 sopra una popolazione di 19.671 unità, cioè poco più del 50%. La durata del morbo fu di tre mesi, la mortalità maggiore si verificò il 15 giugno e soltanto dall’8 settembre in poi il contagio cominciò a regredire.

 

Durante gli anni 1806-1814 in cui sul trono di Napoli regnò Giacchino Murat, Ferdinando di Borbone rimase rifugiato in Sicilia e la corte borbonica stava sempre attenta e impaurita benché fosse protetta dall’esercito inglese. La notte del 18 settembre 1810 Murat cercò di invadere la Sicilia, ma le truppe inglesi e sicilia ne avanzarono minacciose dopo essere partite da Messina. Il 9 luglio 1820  il presidio di Messina, composto soprattutto da carbonari, chiese al Re Ferdinando I la Costituzione e poiché questa non veniva promulgata il popolo si sollevò e alla fine per evitare più pericolose lotte, la costituzione fu dapprima accordata per poi essere revocata l’anno successivo. Nel mese di febbraio del 1822 una corte marziale fu istituita a Messina per giudicare i rei di cospirazione contro la sicurezza dello Stato.

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